Yves Klein fu senza dubbio uno dei primi artisti a giocare consapevolmente con l'idea di "museo immaginario".
Poco dopo la pubblicazione dell'opera di Malraux Klein fece stampare in spagna, dove insegnava judo,
un piccolo libro intotolato Yves Peintures. Sotto la copertina, oltre alla prefazione senza parole di Claude Pascal, dieci tavole libere, ognuno della quali regge, trattenuto da un semplice tratto di colla, un rettangolo di carta sottile, a un solo colore, in calce al quale, con grande sobrietà tipografica, è indicato il nome dell'autore,
"Yves", e sono precisati i luogo, la data e le dimensioni dell'opera: ad esempio, "tokio 1953".
Un tipo di presentazione all'ora privilegiato nei libri d'arte: tutto concorre a confermare che queste superfici unite sono proprio la produzione di quadri. Solo che non si tratta di fotografie sviluppate e stampate bensì di fogli stampati industrialmente, sicuramente ritagliati in modo artigianale da fogli di grande formato, nè si è mai
trovato alcun dipinto di Klein corrispondente alle dimensioni indicate nella raccolta. Di più: a tutto il 1954, il pittore non aveva ancora allestito nessuna mostra nei normali circuiti espositivi. Yves Peintures, con la sua vena anticipatrice, risultò anzi per Klein un ottimo test per saggiare le reazioni del pubblico. ora che il pittore si era impadronito della nozione di "museo immaginario", non gli restava che rovesciare fino in fondo l'ordine temporale contenuto e, dopo aver mostrato le "riproduzioni", dipingere gli "originali" delle "riproduzioni" stesse.
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